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Avvocatesse in trincea: quote rosa nella categoria

di Giovanni Negri

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9 marzo 2010

Prima di politiche di sostegno serve un cambiamento delle regole del gioco. Per evitare che queste ultime siano sempre e solo quelle che fondano la professione legale su paradigmi solo maschili. Con questo obiettivo da raggiungere sarebbe utile anche il criterio delle quote negli organismi di categoria più significativi, dal Consiglio nazionale forense alla cassa di previdenza. È anche a queste conclusioni che approda una ricerca del Censis che sarà presentata oggi a Roma, condotta con la collaborazione dell'Aiga e della commissione Pari opportunità del Cnf.

Nel corso della rilevazione sono stati raccolti 401 questionari: 113 a Bergamo, 97 a Reggio Emilia, 78 ad Ancona e 113 a Trani. La componente giovane dell'avvocatura femminile costituisce la gran parte delle donne intervistate: il 78,6% ha fino a 44 anni di età, distribuito per il 27,4% dai 27 ai 34 anni, per il 31,3% dai 35 ai 39 anni, per il 22,9% dai 40 ai 44 anni. Si tratta per la maggior parte di donne sposate o conviventi (67,3%), con una alta frequenza di nubili (27,7%) e una componente molto più contenuta di separate o di divorziate (4,5%). Il 47,2% delle intervistate non ha alcun figlio, il 26,4% uno soltanto, il 22,2% due e il 4.2% oltre due. L'età in cui è arrivato il primo figlio si concentra nella fascia dai 30 ai 34 anni (54,8%). Come a, osserva la ricerca, dire che più della metà delle avvocate non aspettano di avere fatto carriera per mettere al mondo un bambino, con tutto ciò che ne deriva in termini di difficoltà nella conciliazione e di rallentamento dei percorsi di accesso ad una più solida posizione professionale. A completare il progetto si sono poi tenuti tre focus group a Verona, Lucca e Siracusa.

Dalle interviste prende corpo il luogo comune per cui le donne avvocato sono considerate soprattutto idonee a occuparsi di persone più che di affari e dunque prevalentemente adatte al cosiddetto contenzioso di massa, con particolare riferimento alle questioni familiari e condominiali, contrattuali o all'infortunistica. Le donne avvocato vengono contattate dalla clientela per questioni che hanno a che fare con la famiglia e i minori (68,5%), con la proprietà/locazioni e condomini (55,2%), con la contrattualistica (52,1%), l'infortunistica (50,25%) o le esecuzioni (46,5%). Al contrario, un numero particolarmente esiguo risulta coinvolto per quanto riguarda i reati societari (2,6%), i reati contro o i conflitti con la pubblica amministrazione. (rispettivamente il 3,8% e l'8,2%), le questioni bancarie (8%) e le società in generale (12%). Più consistente, ma sempre piuttosto ridotta, la percentuale delle donne avvocato che si occupano di fallimenti (17,1%), di reati contro la persona (18,1%) o di lavoro (27,9%).

La disparità di trattamento rispetto ai colleghi maschi passa anche attraverso una marcata asimmetria nelle retribuzioni. Sono infatti addirittura l'85,7% (ma si arriva a una percentuale dell'87% nel caso delle sposate, dell'88,5% nel caso delle associate e del 90,6% nel caso delle professioniste che esercitano nell'Italia centrale) le donne avvocato intervistate che denunciano una capacità di guadagno nettamente differente (e in generale inferiore) rispetto agli uomini.

Il fattore che più contribuisce a rendere critica la condizione professionale dell'avvocatura viene individuato dalla maggioranza delle intervistate (56,7%) nel «numero crescente dei colleghi». L'insufficienza o la mancanza di risorse materiali può essere poi di impedimento per una professionista, sia pure preparata e motivata, a svolgere, se non addirittura ad avviare, la sua attività. Ecco dunque che al 2° posto della graduatoria dei fattori che rendono critica la condizione professionale dell'avvocatura si colloca «la difficoltà a far crescere lo studio» (lo afferma il 32,7% delle intervistate) o, al 5°, «la difficoltà di aprire uno studio» (15,5%).

9 marzo 2010
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